mercoledì 30 aprile 2014

Studiando i classici: IL CORVO

Se qualcuno di voi volesse intraprendere la carriera del fumettaro, dovrebbe almeno conoscere quel capolavoro underground degli anni 80 chiamato Il Corvo. E' probabile che alcuni giovincelli, ricordino solo l'omonima pellicola (peraltro molto buona) in cui perse la vita Brendon Lee. In realtà alla base c'è un famosissimo graphic novel nato dalla mente di James O'Barr.

L'autore

Beh, concedetemelo, ma un paio di parole vanno spese su O'Barr, anche perché Il Corvo è l'unico vero fumetto da lui realizzato fino ad oggi che scrivo queste righe... dopo non posso prevedere se farà altro.
James O'Barr cresce orfano a Detroit, ma fin da subito sviluppa una certa passione per il disegno e per il fumetto, un passatempo "innocuo" che lo tiene lontano dalle strade (ma credetemi se vi dico che fare fumetto è più distruttivo che sparare in faccia a qualcuno). Da adulto studia scultura, fotografia e cultura rinascimentale. la sua ragazza fu uccisa da un pirata della strada. L'accaduto portò l'autore in depressione, da qui prese la decisione di arruolarsi nel corpo dei marines, per combattere il dolore... inutile dire che la cosa servì a poco. Per non impazzire, O'Barr canalizzò i rimpianti e i rimorsi all'interno di un'opera monumentale, ispirata in parte anche da un caso di cronaca, dove due fidanzati furono uccisi per un anello da 20 dollari... quell'opera era "Il Corvo", ed era il 1981.

La narrazione


Narrativamente parlando, il Corvo possiede una potenza drammatica incredibile, che raramente ho riscontrato in altri fumetti che ho letto: dalle pagine emerge quasi con prepotenza il dolore di un uomo macerato e distrutto. La sofferenza messa in scena è palpabile, un vero pugno nello stomaco, un calcio nelle palle a tradimento... e intendo dati entrambi contemporaneamente. Il corvo, mi sento di dirlo, è uno dei fumetti "più veri" che abbia mai letto.
 La narrazione, tutt'altro che prolissa, appare frammentata, alternando presente e passato, attraverso vari flashback del protagonista. Quest'ultimo, che si conosce soltanto come Eric, non è altro che un riflesso dell'autore stesso, che attraverso le sue azioni cerca di esprimere la propria rabbia. Eric, truccato come Pierrot, viene introdotto gradualmente al lettore: sappiamo che sta cercando vendetta contro delle persone dai nomi strani (Tom Tom, T-Bird, Funboy, Top Dollar, Tin Tin), colpevoli di aver ucciso la sua ragazza, Shelly. Accompagnato da un corvo, Eric si presenta a costoro con metafore, sonetti, e atteggiamenti strani, lasciando trasparire una certa instabilità mentale. La sua follia è resa in modo visivo, mostrando figure oniriche e spaventose, dove il sogno si mischia con la realtà: lo stesso corvo che lo segue come un'ombra, potrebbe essere solo un'illusione frutto della sua mente bacata. Eppure, sebbene all'inizio non se ne faccia cenno, diventa presto evidente che il protagonista sia tornato dalla morte, resuscitato in qualche modo proprio dal corvo, con cui dialoga costantemente. Eric è stato, infatti, ucciso insieme a Shelly, in una delle sequenze più disturbanti, causa anche il crudo realismo, che abbia mai letto in un fumetto: il protagonista è costretto suo malgrado, a guardare mentre quei balordi violentano la sua ragazza, prima di ammazzarla, dato che il colpo sparatogli a bruciapelo in testa non lo ha ucciso, ma solo "immobilizzato"... Eric morirà più tardi, in ospedale, dopo che un corvo gli ha detto "Di non guardare". Eric diventa così il fantasma del Natale passato, lo spettro che perseguita coloro che hanno peccato, diventando inarrestabile e brutale, perché le persone capiscano che alle proprie azioni c'è sempre una conseguenza. Le pallottole non lo fermano, i coltelli non lo bloccano, eppure il suo corpo è pieno di ferite che non guariscono, metafora pungente del dolore che non si rimargina e che non scompare mai del tutto. Il Corvo mette in mostra le colpe di tutti, sia vittime che carnefici. Nonostante il nero uccellaccio tuoni al protagonista che non è colpa sua, forse ci viene suggerito l'esatto contrario: la colpa è di Eric e Shelly, di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliatissimo, e sembra quasi che si faccia colpa a Shelly di essere così bella e dolce, ed è grande la colpa ovviamente di T-Bird e soci, di aver distrutto l'innocenza e la purezza; è colpa di tutti e di nessuno...

Il tratto grafico

I disegni di O'Barr sono tutt'altro che certosini: le anatomie sono a volte imprecise, ed è facile scorgere figure con teste troppo grandi, arti forse troppo piccoli, prospettive che non tornano, oggetti in scena a volte "inventati" (nel senso che non sono ripresi da foto, ma disegnati facendo ricorso al ricordo), eppure le pagine sprigionano una potenza visiva impressionante, figlia di quella cultura underground, della musica anni 80, che vedevano protagonisti incontrastati I Cure. Vorrei far notare che, certo, io sono l'ultimo che dovrebbe parlare delle imperfezioni degli altri, ma lo faccio per sottolineare come il raggiungere la perfezione stilistica non sia niente, in confronto al saper raccontare una storia nel giusto modo. Da questo punto, Il Corvo sembra quasi un manga, dato che condivide con questi ultimi sia la narrazione serrata, sia la rappresentazione grafica del protagonista con i capelli mostrati come spighe di grano e le espressioni esagerate. Di conseguenza non posso non citare Go Nagai, che come O'Barr non sembra propenso alla perfezione del disegno, ma in questo caso è giusto diversificare alcuni aspetti di entrambi: Il primo è propenso alla semplicità e all'impatto visivo, il secondo, invece, nella sua messa in scena è tutt'altro che semplice; se volessi paragonare questi fumettisti a dei registi cinematografici, direi che Go Nagai è un po' Lucio Fulci, O'Barr invece può essere paragonato a Jim Jarmusch (il film Dead Man ne è un

 grande esempio e ha una poetica di fondo molto simile a quella del Corvo). In questo senso è difficile parlare di O'Barr, perché il suo fumetto non mantiene mai uno stile preciso, ci sono tavole acquerellate, altre che hanno un tratteggio fittissimo, altre ancora che fanno largo uso dei retini, altre ancora che sono disegnate in maniera iperrealista, e altre che sembrano disegnate addirittura in maniera caricaturale: in sintesi, a volte, quasi non sembra di leggere lo stesso fumetto. Una cosa del genere in un fumetto seriale non verrebbe mai permessa (con molta probabilità), ma in una graphic novel è possibile demolire le barriere grafiche, cercando di sperimentare... o quanto meno mi piace crederlo.
Se qualcuno di voi, putacaso, non l'ha mai letto, suggerisco di recuperarlo. Ma attenti a non farvi trascinare troppo a fondo dalla follia e dal delirio del protagonista...









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